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Per Aspera Ad Veritatem n.21
Global Insecurity

Mary Kaldor - Pinter, Londra e New York, 2000





Il volume Global Insecurity edito da Mary Kaldor, è il terzo ed ultimo volume di uno studio commissionato dall'Istituto Mondiale per la Ricerca dello Sviluppo Economico dell'Università delle Nazioni Unite (UNU/WINDER). Questo Istituto svolge ricerche applicate e analisi politiche sui cambiamenti strutturali che incidono sulle economie di transizione e in sviluppo, allo scopo di promuovere politiche di recupero nel campo sociale ed economico.
Il volume si avvale di preziosi contributi di scrittori, professori, ricercatori universitari e membri di istituzioni internazionali, che apportano una loro specifica analisi al problema della sicurezza globale.
L'interessante analisi storico-politica si presenta in modo particolarmente approfondito e dettagliato e sottolinea come il problema della sicurezza globale tenda a ripresentarsi costantemente nel tempo a causa di una cattiva diagnosi e interpretazione dei motivi politici ed economici che generano malcontento e insicurezza come anche per le errate politiche di intervento, ricostruzione e risoluzione dei conflitti.
La fine della guerra fredda aveva fatto nascere un periodo di grande ottimismo e speranza volto a ricostruire, da parte della comunità internazionale, un processo di pace, fondato sul disarmo, la difesa dei fondamentali diritti umani, l'aiuto umanitario, la prevenzione di ulteriori conflitti, in altri termini, la prospettiva di una nuova sicurezza globale.
Sembrerebbe, tuttavia, che questi sforzi siano stati nulli, nuove guerre si sono susseguite, i conflitti si sono ricreati e il problema della sicurezza globale si ripresenta e pone grandi incertezze, dimostrando di avere grandi lacune.
Il problema nasce, secondo Mary Kaldor, da una cattiva comprensione delle cause di insicurezza che possono portare all'emergere dei nuovi conflitti. Le nuove guerre che si sono susseguite hanno avuto ed hanno caratteristiche comuni alle precedenti: richieste di identità politica, di diritti sociali e politici, matrice religiosa, ideologica, rivalità etniche e religiose, rivendicazioni territoriali e resistenza agli stati coloniali. Trovano terreno fertile in Paesi e aree che soffrono di un'economia debole e laddove esiste la disponibilità a reperire armi (molto dell'arsenale proveniente dalla guerra fredda è stato in seguito riutilizzato nelle nuove guerre, acquistato a mercato nero) e uomini, che non solo sono addestrati ma ricercano un inserimento produttivo nella società.
Inoltre, il disarmo tanto auspicato alla fine della guerra fredda non si è mai effettivamente realizzato, anzi, la corsa al riarmo ha assunto aspetti febbrili, ha soltanto cambiato forma, ne è prova l'applicazione della information technology per fini militari (RMA - Revolution in Military Affairs). Le armi sono state vendute ai paesi con maggiori difficoltà economiche, la loro esportazione ha incoraggiato l'incremento delle attività criminali e il commercio illegale. I tagli alle spese militari non hanno portato allo smantellamento ma, al contrario, le forze militari hanno trovato altri mezzi per sopravvivere e sono state reclutate da gruppi mercenari. Un esempio di ciò sono i gruppi fondamentalisti islamici come i mujaheddin che, inizialmente sostenuti dagli americani nella guerra afghana, operano ora in diversi conflitti sostenuti dagli stati islamici.
è dunque probabile che un grande pericolo alla sicurezza globale provenga proprio dalla mancanza di controllo da parte dello Stato sull'industria della difesa, sulla vendita ed esportazione di armi (contrariamente alla loro necessaria distruzione) ai paesi in via di sviluppo, e sull'impiego di gruppi armati informali. Se dunque la guerra, espressione di malcontenti economici e politici, risulta essere il principale fattore che genera insicurezza, che rifiorisce proprio nei paesi già colpiti dai conflitti, allora, la ricerca di una risposta alternativa non può prescindere da un intervento di tipo politico ed economico volto a creare una ricostruzione. Tale ricostruzione va intesa come strategia di prevenzione e di pace non soltanto per le situazioni post-conflitto ma anche in quelle dove non è stata sperimentata la guerra. La ricostruzione economica è, dunque, la strategia che dovrebbe stimolare lo sviluppo produttivo dell'economia, creare opportunità alternative di impiego per le forze armate e ridisegnare politiche più conformi alle nuove realtà sociali. Questo processo democratico dovrebbe avvenire attraverso l'intervento umanitario di istituzioni politiche internazionali come ad esempio la NATO, l'Unione Europea (EU), l'Organizzazione dell'Unità Africana (OAU), l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che garantiscono la legittimità democratica attraverso l'applicazione delle leggi a livello internazionale e la guida dei processi di transizione. La ricostruzione, tuttavia, richiede un impegno collettivo per la pace, rivolto verso un cambiamento globale nel rispetto dei diritti sociali, politici ed economici e riconosca questi ultimi come componenti essenziali della sicurezza globale.



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